Crescita della domanda alimentare e crisi ambientale pongono come tema centrale lo squilibrio tra sviluppo e risorse disponibili. La Cia, nella sua quinta giornata all’Esposizione Universale, lancia la sua sfida. Il direttore nazionale Rossana Zambelli: “Produrre di più e meglio, inquinando di meno, se vogliamo garantire sia la sostenibilità ambientale sia la sostenibilità economica delle imprese agricole”. Serve un sistema scientifico integrato tra  pubblico e privato. 

20150909_cianazionale_expo_ricerca_innovazioneE viene il giorno in cui bisogna guardare al futuro. Con occhio critico e pensiero vigile. Questo è quanto fa la Cia oggi con la sua quinta giornata in Expo significativamente intitolata “Ricerca e innovazione per l’agricoltura del futuro”. Perché solo da ricerca e innovazione possono venire le risposte per coniugare incremento del reddito delle imprese agricole e incremento delle risorse alimentari senza alterare il già troppo fragile equilibro ambientale.

Non si è ancora spenta l’eco delle proteste degli agricoltori di tutta Europa -in particolare di quelli italiani che soffrono una pesantissima crisi nel settore zootecnico e in quello dell’ortofrutta- che la Confederazione italiana agricoltori passa dalla protesta alla proposta: che significa più fondi per la ricerca e l’innovazione. Così da cogliere gli obiettivi prioritari che la Cia si pone: tutelare la biodiversità, affermare la multifunzionalità agricola, cogliere nella gestione integrata delle filiere opportunità di maggior reddito per le imprese, porre l’agricoltura al centro dello sviluppo sostenibile soddisfacendo al meglio il bisogno alimentare.

A introdurre la giornata, all’Auditorium di Palazzo Italia, è stata la relazione di Rossana Zambelli, direttore generale di Cia: “Il nostro intento -ha detto- è quello di chiamare tutto il mondo agricolo, ma anche i poteri pubblici e tutta la ricerca a un confronto aperto sui nuovi orizzonti dell’attività agricola. Ci sono sfide epocali e urgenti da affrontare perché ci troviamo a operare in un contesto globale socio-economico inedito e rinnovato rispetto al passato. Crisi energetica, crisi ambientale e crisi alimentare: questi i tre grandi temi che condizionano il presente e sono destinati a condizionare il futuro”.

“Produrre di più e meglio, inquinando di meno: è questo lo slogan da seguire per il prossimo futuro se vogliamo garantire sia la sostenibilità ambientale sia la sostenibilità economica delle imprese agricole. Da questo punto di vista -ha spiegato la Zambelli- l’approccio che ha l’Ue con il programma della crescita intelligente è un significativo passo avanti. Ma non c’è dubbio che in questo scenario non basta, serve una crescita compatibile. Per ottenerla bisogna innovare e ricercare e gli agricoltori da soli non ce la possono fare. Serve (ed è questa la proposta di Cia che rivendica il ruolo delle organizzazioni agricole come divulgatori presso le aziende dei risultati della ricerca e come difensori del ruolo di protagonisti delle imprese agricole in uno scenario di sviluppo sostenibile) un sistema scientifico integrato tra pubblico e privato, che può rappresentare la strada da seguire al fine di fornire risposte efficaci e all’altezza delle sfide del settore agricolo”.

Infatti “attraverso il giusto ‘mix’ tra ricerca pubblica e privata si potrà anche agevolare quell’irrinunciabile processo di integrazione tra le politiche nazionali ed europee al servizio della ricerca agricola e favorire così -ha concluso il direttore nazionale di Cia- la costruzione di un coordinamento delle politiche dell’agroalimentare che possa definirsi definitivamente globale. E certamente Expo è il luogo ideale per lanciare questa sfida”.

Di tutto questo si è parlato nella tavola rotonda “La ricerca diventa innovazione quando è applicata con successo”, animata dagli interventi dei massimi esponenti della ricerca applicata in agricoltura e che è diventata un confronto internazionale di altissimo profilo per sapere se il futuro agricolo è già qui e adesso. Vi hanno preso parte: Cosimo Lacirignola, segretario generale del CIHEAM; Leith Ben Becher, presidente Associazione agricola tunisina Synagri; Xavier Beulin, presidente FNSEA, Organizzazione agricola francese (tbc); Claudia Sorlini, presidente Comitato Scientifico Expo; Claudio Lorenzini, dirigente DISR IV Ricerca e Sperimentazione del Mipaaf; Mauro Gamboni, dipartimento Scienze Bioagroalimentari del CNR; Anna Vagnozzi, capo ricerca del CREA.


FOCUS CIA – Ricerca in agricoltura, l’Italia è in ritardo. Eppure la Commissione europea stima che ogni euro speso in ricerca e innovazione ne genera 10 di valore aggiunto.

Alla crescente domanda alimentare si sta dando una risposta che è produrre di più. E’ la più scontata eppure non la migliore delle risposte. Bisogna produrre sì di più, ma anche meglio nel rispetto dell’equilibrio ambientale e verso una prospettiva di sviluppo sostenibile che -specialmente in Italia- esalti e tuteli la biodiversità. Ma questa prospettiva diventa concreta solo se all’agricoltura si applica un massiccio investimento in ricerca e innovazione. Un’opzione che negli ultimi anni è stata esercitata soprattutto dai paesi emergenti e rispetto alla quale l’Italia appare in ritardo, pur consapevole il nostro paese che investire in ricerca e innovazione significa creare lavoro e aumentare le risorse disponibili.

Secondo i dati della Fao, su un totale di terre emerse per 13,4 miliardi, l’agricoltura ne utilizza 1,5 miliardi a cui si assommano circa due miliardi di terre parzialmente coltivate. I dati più recenti sulla spesa in ricerca e sviluppo in agricoltura ci indicano che, dopo un decennio di andamento stagnante negli anni Novanta, dal 2000 al 2008 gli investimenti pubblici nel settore hanno ripreso vigore (+22% su scala globale).

Ma il tasso di crescita (che in media annua è del 2,4%) si deve essenzialmente agli sforzi delle economie emergenti, Cina, India e Brasile in primo piano. Al contrario, nelle aree povere del Pianeta, il dato si riduce (al 2,1%), con forti oscillazioni da un anno all’altro. Stati Uniti ed Europa sono invece indietro, con tassi di incremento dei finanziamenti alla ricerca sulla produttività agricola diminuiti dal 2% del 1980 all’1,1% nei primi anni dopo il Duemila fino alla crescita zero (0,8%) fatta registrare dal 2005 al 2008.

L’efficacia degli investimenti in ricerca agricola la misuriamo tipicamente in termini di aumento della produttività. Ad esempio in Brasile gli investimenti dal 1970 al 2009 si sono tradotti in un aumento di produttività del 176%, mentre in Cina del 136%.

Anche se i fondi pubblici in ricerca agricola sono maggioritari (79% del totale) rispetto a quelli privati, nei primi 8 anni del nuovo secolo le risorse per la ricerca privata sono aumentate di più di quelle pubbliche, cioè del 26% su scala globale. Ad esempio, negli Usa, storicamente il paese più impegnato nel finanziare questo tipo di ricerca, la quota degli investimenti privati ha già da anni superato quella degli investimenti pubblici. La tendenza è la stessa in tutti i Paesi sviluppati.

Ma la ricerca privata spesso coincide con un calo di interesse per gli studi sulla produttività agricola a vantaggio di altri ambiti come la sicurezza alimentare (food safety), le innovazioni nel processo, l’impatto ambientale dell’agricoltura e le connessioni del settore primario con quello dell’energia, della scienza medica e dell’industria dei materiali. Nel settore privato, gli investimenti in ricerca sulla trasformazione alimentare nel mondo hanno già superato quelli in agricoltura (9,9 miliardi di dollari contro 8,3 miliardi nel 2008).

Per quanto attiene l’Italia la situazione è particolarmente critica. Il nostro paese ha come obiettivo di investire da qui al 2020 l’1,53% del Pil in ricerca e innovazione, mentre il resto d’Europa ha un target di investimenti del 3%. Ancora più debole è l’investimento in agricoltura, dove l’Italia impegna in media 300 milioni l’anno (cioè lo 0,7 rispetto alla Plv) trascurando il dato reso noto dalla Commissione europea, secondo la quale ogni euro speso in agricoltura per ricerca e innovazione ne genera 10 di valore aggiunto e ogni 30 mila euro investiti si crea un nuovo posto di lavoro stabile.


Fonte: Cia nazionale