di Pierpaolo Pasquini, presidente Cia Livorno
L’agricoltura biologica, un tempo considerata metodo di coltivazione di nicchia, ha conosciuto in questi ultimi anni un trend di crescita positivo.
Questo è dovuto allo sviluppo del quadro legislativo della Pac indirizzata verso la sostenibilità delle produzioni agricole e la salvaguardia dell’ambiente.
Sono da apprezzare gli obiettivi delle recenti strategie “Dal campo alla tavola” (F2F) e “Biodiversità 2030”, che prevedono limitazioni all’uso dei pesticidi, riduzione dell’uso dei fertilizzanti e degli antimicrobici, e contemporaneamente la promozione dell’agricoltura biologica del 25% entro il 2020.
Inoltre abbiamo assistito ad crescente consenso di una parte dell’opinione pubblica e dei consumatori, che produrre con il metodo biologico significa assicurare la salubrità degli alimenti ed il rispetto dell’ambiente e del benessere animale.
Negli ultimi anni a causa della crisi economica, i consumi alimentari in generale si sono ridotti o sono rimasti stagnanti. Al contrario i consumi dei prodotti biologici sono cresciuti. È pertanto evidente che il biologico non è una moda destinata ad esaurirsi, nel più o meno breve periodo.
Recentemente la Regione Toscana ha destinato 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021 e 2022, delle risorse finanziarie del PSR (periodo transitorio) alla agricoltura biologica. Una notizia da accogliere positivamente, perché può dare risposte alle aziende che sono rimaste escluse da bandi precedenti per carenza di risorse e recuperare aziende che hanno terminato il periodo di impegno.
Però non possiamo fare a meno di evidenziare come ad un aumento delle superfici certificate a coltivazione biologica, non corrisponda un aumento delle produzioni commercializzate come biologiche.
Con risorse economiche limitate a disposizione, vanno privilegiate le aziende che si presentano sul mercato con il prodotto biologico. Il tema è di attualità e deve essere affrontato dal legislatore, affinché le risorse pubbliche possano ottenere il risultato più efficace. D’altra parte sarebbe poco comprensibile, restando in campo agricolo, ma spostandoci sul settore vitivinicolo che le aziende iscrivessero i loro vigneti alla Doc, ma poi non la rivendicassero per le proprie produzioni.
Non vogliamo che la Toscana sia una territorio con una alta percentuale di terreni certificati a biologico, senza poi avere le produzioni ed essere costretti utilizzare quelle di altre regioni o paesi per le forniture a scuole, mense, grande distribuzione e dettaglio.
Tratto da Dimensione Agricoltura n. 3/2021